Liturgia della Domenica - 14 Ottobre

giovane riccoUn giovane ricco chiede a Gesù di indicargli la via per avere la vita eterna. Ma, a motivo dei suoi beni, non accoglie le richieste di Gesù. Non è stato capace di rinunciare a quanto possedeva, per seguire il Maestro nella via della povertà.

«CHE COSA DEVO FARE PER AVERE LA VITA ETERNA?»

Un uomo senza nome, che potrebbe essere ciascuno di noi, rivolge a Gesù la domanda che è il desiderio profondo di ogni essere umano: quello di avere la vita. E Gesù spiega che per ottenere la realizzazione di quella speranza è necessario liberarsi da tutto ciò che è mammona, cioè da tutto ciò che sembra essere garanzia e sicurezza umana. Un discorso impegnativo, che ha raggelato persino i discepoli i quali rimasero alquanto “sbigottiti” da quell’insegnamento del Maestro (Vangelo). Eppure il Signore aveva invitato a far tesoro di quanto già era patrimonio dell’antico Israele: nella vita – l’aveva capito Salomone – ciò che conta è ottenere lo spirito di sapienza, il solo che permette di distinguere davvero il bene dal male e quindi di non vivere nella stoltezza (I Lettura). 

Questo dono è elargito da un’esistenza condotta nella fede, che ascolta la Parola di Dio, per quanto essa possa essere a volte tagliente e capace di raggiungere le fenditure più nascoste della nostra interiorità, ma anche necessaria per orientare la vita e renderla autentica e proiettata alla ricchezza vera, la comunione eterna con il Signore (II Lettura).

GESÙ SI RIVELA COME «IO SONO»

Questa particolare rivelazione che Gesù fa di se stesso («Io Sono»), ci riporta alla rivelazione del nome di Dio, come appare in Es 3,14-16: «Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono”. E aggiunse: Così dirai agli Israeliti: “Io sono mi ha mandato a voi”… Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione». 

Attribuendo alla sua persona questo titolo, Gesù esprime la consapevolezza di essere uguale al Padre («Io e il Padre siamo una cosa sola»; Gv 10,30) e di essere lui stesso Dio («Chi ha visto me ha visto il Padre»; Gv 14,9). 

A volte questo titolo appare nella formulazione «Sono io», come in Mt 14,27: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Nel Vangelo secondo Giovanni, invece, è sempre presente sulle labbra di Gesù la formulazione «Io Sono». 

Essa ricorre con una particolare frequenza nel capitolo 8 di questo Vangelo: «Se non credete che Io Sono – dice Gesù ai suoi avversari – morirete nei vostri peccati» (Gv 8,24); «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo – dice ancora agli stessi – allora conoscerete che Io Sono» (Gv 8,28). E, rivolgendosi sempre a loro, afferma: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse Io Sono» (Gv 8,58). 

L’espressione «Io Sono» non va compresa in senso astratto, intellettualistico, ma come la piena partecipazione di Dio alla nostra umanità, cui dona la sua salvezza.