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Liturgia della Domenica 13 Luglio - Il commento di Don Claudio
Capitolo 10 del Vangelo di Luca. Gesù, interrogato da un dottore della legge su ciò che è necessario per ereditare la vita eterna, lo invita a trovare la risposta nelle Scritture e dice: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso» (v. 27).
C’erano però diverse interpretazioni su chi si dovesse intendere come “prossimo”. Infatti, quell’uomo incalza e chiede ancora: «E chi è il mio prossimo?» (v. 29).
A questo punto, Gesù risponde con la parabola, un racconto tratto dalla vita di tutti i giorni, un modo per farsi capire dalla gente che lo stava ad ascoltare senza inutili giri di parole o senza discorsi troppo teologici.
Protagonista di questo racconto, della parabola per l’appunto, è un samaritano, che incontra lungo la strada un uomo derubato e percosso dai briganti e si prende cura di lui. Sappiamo che i giudei trattavano con disprezzo i samaritani, considerandoli estranei al popolo eletto.
Non è dunque un caso che Gesù scelga proprio un samaritano come personaggio positivo della parabola. In questo modo vuole superare il pregiudizio, mostrando che anche uno straniero, anche uno che non conosce il vero Dio e non frequenta il suo tempio, è capace di comportarsi secondo la sua volontà, provando compassione per il fratello bisognoso e soccorrendolo con tutti i mezzi a sua disposizione.
Per quella stessa strada, prima del samaritano, come abbiamo sentito, erano già passati un sacerdote e un levita, cioè persone dedite al culto di Dio. Però, vedendo il poveraccio a terra, erano andati oltre senza fermarsi, probabilmente per non contaminarsi col suo sangue. Avevano anteposto una regola umana (non contaminarsi col sangue) legata al culto, al grande comandamento di Dio, che vuole anzitutto la misericordia.
Gesù sceglie come modello uno che probabilmente non era nemmeno un uomo di fede. E questo uomo, amando il fratello come sé stesso, dimostra di amare Dio con tutto il cuore e con tutte le forze - il Dio che non conosceva! -, ed esprime nello stesso tempo vera religiosità e piena umanità.
Dopo aver raccontato questa parabola, Gesù si rivolge di nuovo al dottore della legge che gli aveva chiesto «Chi è il mio prossimo?», e gli dice: «Chi di questi ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?» (v. 36). In questo modo opera un rovesciamento rispetto alla domanda del suo interlocutore, e anche alla logica di tutti noi. Ci fa capire che non siamo noi che, in base ai nostri criteri, definiamo chi è il prossimo e chi non lo è, ma è la persona in situazione di bisogno che deve poter riconoscere chi è il suo prossimo, cioè «chi ha avuto compassione di lui» (v. 37).
Essere capaci di avere compassione: questa è la chiave. Questa è la chiave per comprendere se possiamo dirci veramente cristiani. Del resto, come Gesù è la compassione del Padre verso di noi, così anche noi dobbiamo esserlo nei confronti di chi incontriamo sulla nostra strada.
Concludo facendovi notare che in questi 13 versetti del capitolo 10 del Vangelo di Luca si nasconde un decalogo che dovrebbe indicare le nostre scelte di cristiani, che dovrebbe modellare il nostro farci prossimo…
Luca mette in fila dieci verbi per descrivere l’amore concreto: vide (1), ebbe compassione (2), si avvicinò (3), versò olio e vino (4), fasciò (5), caricò (6), portò (7), si prese cura (8), pagò (9)... fino al decimo verbo: al mio ritorno salderò (10)... Questo è il nuovo decalogo, perché l’uomo sia promosso a uomo, perché la terra sia abitata da “prossimi” e non da briganti o nemici.
Al centro del messaggio di Gesù una parabola; al centro della parabola un uomo, e quel verbo: Tu amerai. Fa così, e troverai la vita.