Liturgia della Domenica 19 Novembre - Il Commento di Don Claudio

talentoXXIII Domenica del Tempo Ordinario - Matteo 25, 14-30

Discorso escatologico, discorso sulle ultime realtà, sugli ultimi tempi. Capitolo 24 e 25 del Vangelo di Matteo. In queste ultime tre domeniche del Tempo Ordinario, la scorsa, la odierna e la prossima, leggiamo per intero il capitolo 25 di Matteo.

La parabola delle dieci vergini, la parabola dei talenti e il giudizio finale, domenica prossima, festa di Cristo Re. Potrebbe sembrare un po’ inverosimile che un uomo che sta per intraprendere un lungo viaggio affidi i suoi beni a dei servi. Più logico affidare il tutto a un consulente finanziario o comunque ad una persona fidata che possa amministrare il patrimonio durante la sua assenza. 

Fuori dall’immagine: Dio non ci chiama più servi, ma amici. Affida a noi i beni di questo mondo. Certo in quantità diversa, perché ognuno ha capacità e disponibilità diverse. Ma a tutti, non manca di affidare una parte dei suoi beni. 

Ancora, potremmo dirci che ognuno di noi è un dono! 

Forse non ci abbiamo mai pensato o forse ci sarà scappato di dirlo agli altri, a un figlio, a un amico, al genitore, a un collega di lavoro. Ma tu, io siamo un dono. E per quanto tante volte possiamo incorrere nel pericolo di dire… io? Un dono? O ancora… io? Talenti, capacità, qualità, doni… non ne ho, giocando al ribasso, dovremmo sempre avere l’umiltà di scoprire in noi che ci sono delle capacità, dei beni, che il Signore ci ha dato perché li possiamo mettere a buon frutto. 

Il lungo viaggio intrapreso da quell’uomo è paragonabile al tempo in cui noi viviamo su questa terra. Questo è il tempo del far fruttare i talenti, questo è il tempo nel quale saper mettere a buon frutto ciò che noi siamo, le nostre capacità, i nostri doni, le qualità che ognuno ha. E ci sarà un tempo nel quale, quando quell’uomo tornerà, che ci chiederà conto di come abbiamo speso la nostra vita, il nostro essere uomini e donne, mariti e mogli, figli, amici, colleghi di lavoro, preti, consacrati.

Per due dei tre servi si apre una prospettiva insolita e a dir poco straordinaria. Loro vanno per restituire ciò che è stato consegnato loro e come lo hanno impiegato e il loro padrone rilancia: ti darò potere su molto, entra nella gioia del tuo Signore!

Non importa se cinque, due, uno, mezzo: lo hai fatto fruttare! Non importa se il doppio o di più o di meno: lo hai fatto fruttare! E quello che hai fatto fruttare spesso torna subito a tuo vantaggio: perché il bene fatto non ti lascia mai come prima. Ti riempie, ti dona serenità, il sorriso, la bellezza del vivere.

Ma c’è chi per paura… c’è chi ha paura e la prima paura, la madre di tutte: è la paura di Dio. Questa immagine distorta di Dio, di un Dio duro, che ti sta addosso, il fiato sul collo, è lontanissima dal Dio di Gesù. C’è il pericolo che sotto l’effetto di questa immagine sbagliata di Dio tutta la vita divenga sbagliata. Se ci portiamo appresso, come forse tante volte, soprattutto per chi ha qualche anno in più sulle spalle, ci portiamo appresso l’immagine che ci hanno insegnato di un Dio scrutatore e indagatore… viviamo con l’incubo del giorno finale e non assaporiamo la bellezza che Lui ci rende compartecipi, ci fa figli e come tali riveste quella fiducia in noi al punto tale da affidarci i suoi beni.

Con ciò che noi siamo, non importa il dato anagrafico, con quello che possiamo donare… possiamo vivere la gioia del saper portare frutto. 

“Non distogliere lo sguardo dal povero” dice il tema scelto dal Papa per la VII Giornata Mondiale dei poveri che celebriamo in questa penultima domenica dell’anno liturgico. Se non hai paura di donare, se sei consapevole della gioia grande che ti attende e che già qui in questa vita puoi pregustare: “Non distogliere lo sguardo dal povero”, vivi in pienezza il dono che sei per il povero che ti vive accanto… che forse è povero semplicemente di ascolto, di affetto, di attenzione, di tempo condiviso, di amore !