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Liturgia della Domenica 6 Ottobre - Il commento di Don Claudio
La liturgia della Parola di questa XXVII domenica del Tempo Ordinario potrebbe risultare un tantino scomoda alle nostre orecchie, o comunque al comune sentire dei giorni nostri. C’è un progetto originario di Dio che viene disatteso dagli uomini, al punto tale da far inserire una norma nella legge Mosaica con la possibilità del ripudio da parte del marito nei confronti della moglie.
«Per la durezza del vostro cuore egli - cioè l’antico legislatore - scrisse per voi questa norma». Così Gesù, a chi lo sta ad ascoltare. Si tratta cioè di una concessione che serve a tamponare le falle prodotte dal nostro egoismo, ma non corrisponde all’intenzione originaria del Creatore.
E qui Gesù riprende il Libro della Genesi: «Dall’inizio della creazione (Dio) li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola». E conclude: «Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». Nel progetto originario del Creatore, non c’è l’uomo che sposa una donna e, se le cose non vanno, la ripudia. No. Ci sono invece l’uomo e la donna chiamati a riconoscersi, a completarsi, ad aiutarsi a vicenda nel matrimonio. È un progetto meraviglioso quello che rende l’uomo, maschio e femmina, una sola cosa. Quanti ragazzi e ragazze arrivano al giorno del loro matrimonio con una gioia incontenibile. Forse talora anche con un po’ di apprensione e di certo non sempre con la piena consapevolezza di quanto sono chiamati a celebrare.
Credo sia importante ricordarci anche etimologicamente il significato della parola matrimonio che di certo non ha nulla a che fare con quanto si vorrebbe far passare oggi per matrimonio… che non vuol dire non ci possano essere altre forme di unione. Il termine matrimonio deriva dal latino matrimonium, unione di due parole latine, mater, non è difficile da capire, che significa madre, genitrice e munus, che vuol dire compito, dovere; il matrimonium era, nel diritto romano, un “compito della madre”, intendendosi il matrimonio come un legame che rendeva legittimi i figli nati dall’unione.
Gesù offre un insegnamento molto chiaro e difende la dignità del matrimonio, come unione di amore che implica la fedeltà. Ciò che consente agli sposi di rimanere uniti nel matrimonio è un amore di donazione reciproca sostenuto dalla grazia di Cristo. Se invece prevale nei coniugi l’interesse individuale, la propria soddisfazione, allora la loro unione non potrà resistere.
Se la gioia corona il sogno d’amore di un giorno e quindi di ogni giorno… perché spesso si arriva a conseguenze che non sono mai un beneficio per una o l’altra parte? Di certo il mondo di oggi facilita in tutti i modi la possibilità della separazione, del divorzio… ma è sempre la soluzione migliore? È sempre segno di maturità? Si sono sempre ricercate soluzioni che possano diventare aiuto nel momento della prova?
La pagina evangelica ci ricorda, con grande realismo, che l’uomo e la donna, chiamati a vivere l’esperienza della relazione e dell’amore, possono dolorosamente porre gesti che la mettono in crisi. Gesù non ammette tutto ciò che può portare al naufragio della relazione. Lo fa per confermare il disegno di Dio, in cui spiccano la forza e la bellezza della relazione umana. La Chiesa, da una parte non si stanca di confermare la bellezza della famiglia come ci è stata consegnata dalla Scrittura e dalla Tradizione; nello stesso tempo, si sforza di far sentire concretamente la sua vicinanza materna a quanti vivono l’esperienza di relazioni infrante o portate avanti in maniera sofferta e faticosa.
Il modo di agire di Dio stesso con il suo popolo infedele - cioè con noi - ci insegna che l’amore ferito può essere sanato da Dio attraverso la misericordia e il perdono. Perciò alla Chiesa, in queste situazioni, non è chiesta subito e solo la condanna. Al contrario, di fronte a tanti dolorosi fallimenti coniugali, essa si sente chiamata a vivere la sua presenza di amore, di carità e di misericordia, per ricondurre a Dio i cuori feriti e smarriti. Non dimenticando che la Chiesa siamo noi. La comunità che deve farsi accanto sono i parenti, gli amici, quanti hanno fatto festa nel giorno del matrimonio. Essere accanto, non per giudicare ma per aiutare a riscoprire quel progetto d’amore che Dio, da sempre ha per ogni uomo e per ogni donna, per ogni coppia e per ogni famiglia.