Liturgia della Domenica 25 Maggio - Il commento di Don Claudio

Gesu parolaSe uno mi ama, osserverà la mia parola. «Se uno ama me»: è la prima volta nel Vangelo che Gesù chiede amore per sé, che pone se stesso come obiettivo del sentimento umano, più alto, più dirompente e potente. Ma lo fa con il suo stile: estrema delicatezza e rispetto che si appoggiano su di un libero «se vuoi», un fondamento così umile, così fragile, così puro, così paziente, così personale. Se uno mi ama, osserverà... perché si accende in lui il misterioso motore che mette in cammino la vita, dove (dice santa Battista Camilla da Varano): «i giusti camminano, i sapienti corrono, ma gli innamorati volano». L’amore lo potremo definire una scuola di volo, capace di innescare un’energia, una luce, un calore, una gioia che mette le ali a tutto ciò che fai. 

«Osserverà la mia parola». Se arrivi ad amare lui, ad amare il tuo Signore, sarà normale prendere come cosa tua, come lievito e sale della tua vita, roccia e nido, tesoro e àncora, ogni parola di colui che ti ha risvegliato la vita. La Parola di Gesù è Gesù stesso che la dice, è Lui che parla, che entra in contatto, mi raggiunge e mi comunica se stesso. Chissà se quando ci accostiamo alla sua Parola, quando apriamo il Vangelo e lo leggiamo entriamo proprio in quest’ottica del lasciarci interpellare da Lui... 

Potremo chiederci ancora: “Come si fa ad amarlo?” Si tratta di dargli tempo e cuore, di fargli spazio. Se non pensi a lui, se non gli parli, se non lo ascolti nel segreto, forse la tua casa interiore è vuota. Se non c’è rito nel cuore, se non c’è una liturgia nel cuore, tutte le altre liturgie sono maschere del vuoto. Sono impalcature che servono a ben poco.

“Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Verremo. Il Padre che è nei cieli, il Misericordioso senza casa ... cerca casa. E la cerca proprio in me. Forse non troverà mai una vera dimora, solo un povero riparo, una stalla, una baracca. Ma Lui mi domanda una cosa soltanto, di diventare, casa per le sue due promesse: che sono lo Spirito e la pace. Lo Spirito: tesoro che non finisce, sorgente che non tace mai, vento che non si posa, che non avvolge soltanto i profeti, le gerarchie della Chiesa, i grandi personaggi, ma convoca tutti noi anche in forza del nostro Battesimo... 

E poi, la seconda parola, la seconda consegna: “Vi lascio la pace”, questo miracolo fragile e oggi continuamente infranto. Un dono da ricercare pazientemente, da costruire “artigianal-mente”, ciascuno con il suo ramoscello d’ulivo nel deserto della storia, ciascuno con la sua piccola oasi di pace dentro le relazioni quotidiane. Il quasi niente, in apparenza, ma se le oasi saranno migliaia e migliaia, conquisteranno e faranno fiorire il deserto.

Due settimane ci separano dalla solennità della Pentecoste. In quel giorno celebreremo il dono dello Spirito e il dono della pace, che solo il Risorto ci può donare. Prepariamo il terreno perché lo Spirito possa scendere ancora una volta su di noi e, grazie alla Sua presenza, la pace possa dimorare nei nostri cuori, nelle nostre famiglie, nel nostro paese e nel mondo intero.